Quiet Quitting & Great Resignation
20 Settembre 2023
FidelizzazioneMotivazioneTalentigrandi_dimissionigreat_resignationsoddisfazionetalent_managementvalori_aziendaliIl fenomeno delle dimissioni volontarie di solito preceduto da un periodo più o meno lungo di torpore e apatia del collaboratore, interessa trasversalmente tutti i settori d’impresa, ha riguardato nel 2022 quasi due milioni di lavoratori a tempo indeterminato, conferma il trend per l'anno corrente e pone in modo stringente il tema della soddisfazione sul lavoro e sulla necessità di trattare la materia attraverso paradigmi di metodo che vadano oltre le tanto declamate politiche di welfare.
Quiet Quitting & Great Resignation: committed or involved?
C’è una storiella che gira tra chi si occupa di Risorse Umane e che illustra mirabilmente la differenza tra i due concetti: "Nella creazione delle uova al prosciutto, la gallina è impegnata e il maiale è coinvolto".
La differenza è sostanziale perché un Collaboratore semplicemente IMPEGNATO (ben vengano anche quelli) ha con il lavoro un rapporto onesto, ma tendenzialmente predisposto al rilascio e all’abbandono nel momento in cui vengono a mancare quelle buone ragioni (razionali ed esterne) che lo fanno rimanere, mentre un Collaboratore COINVOLTO, eleva ad un livello superiore la propria partecipazione all'impresa, rendendo accessibili e disponibili elementi più profondi di sé.
Essere impegnati...
Friedrich Herzberg li definisce fattori igienici o di mantenimento, perché quando ne siamo destinatari fanno piacere e sicuramente gratificano, ma dopo un po’ ci abituiamo a essi, diventano normali e legittimano nuove aspettative, più elevate. Li conosciamo bene, sono gli aumenti di stipendio, le assicurazioni sulla vita, le polizze sanitarie e in genere ogni altro ulteriore benefit che un’Impresa può dare ai Collaboratori.
Beninteso, in un rapporto di lavoro tutte queste e altre voci sono le benvenute perché generano benessere e qualità della vita per il Collaboratore, ma è illusorio pensare che esse producano piacere nel lavoro, entusiasmo nello svolgerlo, motivazione a svilupparlo e a mantenerlo.
Non solo, la loro mancanza se si manifesta, produce insoddisfazione, malessere, disaffezione: non a caso Herzberg li chiama anche INSODDISFATTORI.
Da ultimo, ma non per importanza, essi sono erogabili da chiunque con un “semplice” investimento di denaro (reso disponibile dall’azienda o più recentemente ricavato dalle politiche di welfare) e ogni strategia di fidelizzazione basata solamente su essi diventa tendenzialmente fallimentare.
(Scopri gli INSODDISFATTORI che emergono dalle nostre indagini di clima organizzativo CERCO: la soglia di soddisfazione è 2,5).
Essere coinvolti...
Come ci chiarisce invece la storiella, un collaboratore COINVOLTO ci mette invece sempre una parte significativa di sé, cercando e soprattutto trovando al proprio interno le buone ragioni per motivarsi ed entusiasmarsi. Herzberg nel suo lavoro di ricerca, individua anche i SODDISFATTORI, cioè quei fattori che producono una partecipazione di livello superiore, generando coinvolgimento e soddisfazione del Collaboratore oltre che, ça va sans dire, migliori prestazioni e risultati per l’Impresa.
Sono tra gli altri la chiarezza di visione, il riconoscimento del valore, la chiarezza dei ruoli, l’oggettività delle valutazioni, la coerenza tra obiettivi, prestazioni e compensi, le prospettive prevedibili e affidabili di carriera, la percezione di un disegno aziendale che faccia crescere, tutta materia insita in un modello organizzativo che funziona e produce stimolo e motivazione.
Quiet Quitting e Great Resignation
Il Quiet Quitting, quel fenomeno per cui anche le persone migliori, quelle più attive e motivate, iniziano gradualmente muoversi senza energia ed entusiasmo, testimoniando in tale maniera la propria insoddisfazione, è di norma difficilmente misurabile se non attraverso la sua manifestazione più evidente e drammatica: le dimissioni.
Il fenomeno emergente della Great Resignation, delle dimissioni volontarie è partito negli USA nel 2021 in periodo di pandemia; in Italia interseca il 60% delle aziende, e nel 2022 ha riguardato più di due milioni di persone e coinvolge principalmente le aree dell’informatica e del digitale, la produzione, il marketing e le vendite.
Sono coinvolti soprattutto i giovani fra i 26 e i 35 anni (il 70% del campione analizzato) che lasciano il lavoro spesso senza una vera proposta alternativa, insofferenti a un sistema impresa che tende ancora a non considerare credibili aspetti che esulano totalmente dai criteri tradizionali con cui un impiego viene ricercato (in ordine di crescente di priorità): stipendio, sicurezza, appartenenza. I presidi consueti che salvaguardano la stabilità vengono completamente bypassati perché dati per scontati e considerati, soprattutto dai profili più specialistici, una normale soglia d'accesso al ruolo; le priorità che emergono sono:
- identificazione dei valori personali con quelli aziendali (perché alla fine della giornata voglio sentirmi coerente con me stesso);
- obiettivi di ruolo e professionali chiari (perché apprezzo la chiarezza delle aspettative aziendali e pur garantendo flessibilità e non rinunciando agli stimoli, non voglio essere la banderuola che va dove tira il vento);
- qualità delle relazioni e clima disteso (perché così lavoro meglio e garantisco i risultati migliori anche all'azienda);
- bilancio equilibrato tra lavoro e vita privata (perché il lavoro è importante e nobilita, ma mio figlio piccolo ha pari importanza, uomo o donna che sia);
- qualità del management (perché dal mio capo mi aspetto competenza, autorevolezza ed equità, ma anche sensibilità e sostegno alla mia voglia di crescere e affermarmi);
- riconoscimento delle potenzialità e creazione di prospettive di crescita (perché la vita è breve e voglio riempirla di opportunità);
- riconoscimento e valorizzazione del merito (perché siamo tutti uguali, ma tutti diversi e io conosco il mio valore);
- sistemi di individuazione e ricompensa del valore coerenti con le prestazioni (perché la spolverata di cacio va bene solo sui maccheroni);
- percorsi di carriera tracciabili e verificabili in itinere (perché le promesse mi lusingano, ma non mi abbagliano).
e i Talenti...?
Un discorso a parte merita la questione dei Talenti, concetto con cui si indicano quelle persone di valore particolarmente ambite dalle imprese.
Negli ultimi anni si è decisamente abusato nell'uso del termine e molte imprese, convinte della qualità della propria offerta, si sono avventurate in campagne di recruitment in cui, spesso senza approfondire le reali aspettative personali, promettevano mari e monti nella convinzione di poter fronteggiare ogni richiesta e in impegnative (e costose) attività interne di Talent Management salvo poi rilevare che la persona di talento:
- ha una visione lunga;
- sa esattamente dove vuole arrivare ed è ambizioso;
- ha un valore reale e né è consapevole;
- il lavoro è lo strumento per affermarsi;
- è costantemente alla ricerca della propria strada;
- disdegna il ristagno;
- investe, ma vuole vedere risultati;
- non ama sprecare tempo;
- ha sempre a disposizione il piano B.
Per attrarlo, ma soprattutto trattenerlo, è indispensabile alimentare il suo progetto di vita: uno stipendio ottimo e benefit importanti sono condizioni necessarie ma non sufficienti e molte imprese si sono ritrovate totalmente impreparate alla sfida, hanno sprecato denaro e, considerando l'importante ruolo di influencer che il Talento spesso ricopre, in alcuni casi compromesso la percezione del proprio valore agli occhi degli Stakeholder.
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